Sogno, sogni, sogna, io questa parola la odio. Ma secondo voi, questa parola infondo banale – o, piuttosto, banalizzata dall’uso eccessivo - non è da chiunque usata a sproposito in ogni momento, e dico chiunque per dire tutti, tutti noi? Sotto il cappello del sogno, per la moltitudine, accadono le cose che riescono e quelle che vanno in frantumi, i sogni che si rompono, si aggiustano, si avverano, i sogni che diventano moneta sonante o che ti rendono povero, se quello è il tuo maledetto e inconscio desiderio segreto. Ma perché questa parola ha conquistato, per strani percorsi, un immeritato valore semantico per cui la ficchiamo ovunque come se fosse un condimento necessario a rendere la vita più saporita? A furia di ascoltarla, di leggerla, di osservare la sua costante e ottusa propagazione e vederla lievitare dalle labbra altrui come fosse una nota di flauto, bene - io me lo dico da solo: sono annoiato, non credo che il sogno abbia alcuna valenza nelle cose degli uomini perché queste accadono quando accadono, e non serve certo “sognarle” perché si avverino. Per quale ragione diciamo “era sempre stato il suo sogno”, perché? Mentre si realizza qualcosa non stai sognando affatto, perché per sognare devi dormire e, mentre si dorme, non si costruisce nulla, piuttosto, secondo Freud, si smonta qualcosa e dunque che ha a che fare la realizzazione della propria vita con il sogno? Il sogno è metafora di riuscita ma mentre dormiamo più che sogni attraversiamo inquietudini - o luoghi misteriosi e indecifrabili - che visitiamo per una sola notte e che nulla hanno a che fare con la luce della mattina. Peccato, in realtà è una bella parola, sogno, ma l’abbiamo massacrata, vilipesa, banalizzata, resa scontata solo per pigrizia, perché alla fine si dice sogno perché non si ha voglia di individuare il vero sinonimo che ci permetta di descrivere meglio quello che siamo, ciò che abbiamo realizzato. Altro che sogni. Vorrei dare un premio a chi scrive un romanzo senza mai intrufolare nel testo questa parola; vorrei gratificare qualche giovane che invece di dire (poniamo abbia appena vinto una gara importante) invece di rispondere a chi lo intervista “si è avverato il mio sogno, ho faticato tanto per arrivare qui” magari affermi “ho lavorato, mi sono calato nella realtà di tutti i giorni e ho capito che mi era amica, dunque ho fatto un patto con lei e insieme ce l’abbiamo fatta” …appunto, ma quale sogno. Ma poi, è vero che tutti sogniamo cose meravigliose, mete irraggiungibili, notturne vite parallele abbacinanti che vogliamo poi proiettare nella realtà di tutti i giorni per portarci appresso quella sensazione di irresponsabilità che il sogno emana? Io non credo proprio. Per questo vorrei smitizzarla la parola sogno, frantumarla, ridurla in poltiglia, perché, se pian piano la spogliassimo di tutti gli inutili stracci che le abbiamo fatto indossare nel tempo, magari tornerebbe ad esserlo una bella parola, un suono che semplicemente ci racconta che esiste una vita parallela e notturna che nulla ha a che fare con quella diurna e dunque che vanno lasciati lì i sogni, ad agire e farci stare bene per quelle storie in più che la notte ci regala, momenti apparentemente inutili e invece fondamentali per ricaricare l’animo con spirito anarchico, perché quel sogno che ci attraversa non interferisce con la nostra vita, che sogno non è . Al limite, accettabile, sarebbe un sogno collettivo, qualcosa che migliori davvero il mondo ma per tutti, e invece la privatizzazione della parola sogno è un rifugio astratto della folla che alla lunga devia, frustra e illude. Aveva sicuramente ragione Edgar Allan Poe; usava sì la parola sogno anche lui, ma in maniera adeguata perché scrivere “chi sogna di giorno sa molte più cose di chi sogna solo di notte” la dice lunga su quanto lui stesso non credesse ai sogni e utilizzasse la parola da me incriminata solo come sinonimo di realtà, perché Poe lo sapeva bene che di giorno non si sogna ma si fatica, si fanno i conti col mondo al contrario di tutto ciò che transita di notte che rimane ingabbiato tra le lenzuola, in attesa del nostro ritorno.
Marco Mottolese
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Aggiornato il: 12/07/2022 10:55:18