I nostri consigli
Neri Pozza “Bloom”
Pagine 281
Euro 17,00
Ogni guerra è un sasso tirato nello stagno ma solo le prime onde concentriche recano memoria dell’impatto; poi, via via che si allargano e si allontanano dall'epicentro, disperdono interesse per il fenomeno che le ha prodotte e, dimentiche, vanno a estinguersi sulle rive. Così noi. Più vicini si è al big bang più ci preoccupiamo e ne siamo coinvolti; al contrario, la lontananza, fa facile rima con dimenticanza. La guerra, in realtà, è un prodotto riciclato, siamo noi che la vediamo ogni volta nuova a seconda se dimoriamo nei primi cerchi in movimento dopo il lancio del sasso nella pozza oppure galleggiamo tranquilli verso i confini del moto, laggiù, dove non si sente neanche più il secco rumore del sasso che ha franto la superficie liquida dando origine a ciò che solo alcuni coinvolge.Questa riflessione segue una richiesta che ho fatto recentemente a me stesso: c’è la guerra? Allora mi leggo un libro sulla guerra. Già, facile a dirsi e poi le guerre mica son tutte uguali (penso, lì per lì) e invece sì, lo sono, son tutte tremendamente identiche fatta salva la distanza che ti separa dagli spari, dalle sirene. Dal sasso nello stagno. Ecco perché, tra tutti i possibili libri sul tema, ho scelto “Guerra in camicia nera”, uno dei capolavori di Giuseppe Berto, scrittore che ha lasciato, nel secondo ‘900, una traccia così ampia che era difficile scorgerla in contemporanea e solo ora, che ci stiamo allontanando dal suo tempo, i lettori riescono ad apprezzare le dimensioni della sua orma. E non perché in alto c’è il “Male oscuro” - supremo baedeker per chi vuole approfondire lo star male senza un vero perché- e, nel suo lato pop , “Anonimo Veneziano” - una storia d’amore che fa piangere da più generazioni - ma perché è il suo modo di scrivere che è, allo stesso tempo, fuori e dentro la storia; per questa ragione, quando in questo libro, in forma diaristica, ci racconta la guerra che ha vissuto ma che, per narrarla, ha reso in forma quasi onirica, capiamo quanto la vita sia davvero impastata con la guerra da sempre e quanta quotidiana tristezza si annidi in essa fino a rendercela normale, naturale, parte di noi che, evidentemente, nel dna la rechiamo tanto quanto l’istinto di accoppiarsi (e ricordiamolo ora, la donna non dichiara le guerre, porta la vita, è l’uomo che scorta la morte) che poi pare assurdo ma il contrasto tra vita e morte è proprio in questo incontro tra le cellule dei due desideri animali, quello buono e quello malvagio, che sulla terra non trovano pace. E quando Berto scrive: “ Purtroppo, però, la condizione del 6° battaglione è sempre grave. Ieri sera li ho trovati col morale più che mai a terra. Sono quattro giorni che stanno allo sbaraglio, sotto i colpi sempre più duri dell’aviazione e dell’artiglieria, senza poter vedere una via d’uscita. Si trovano come sotto una quercia, durante l’uragano: le fronde bene o male riparano dalla pioggia, ma se dovesse cadere un fulmine, è proprio lì’ che andrà a finire” percepiamo che ci parla della guerra, non una specifica ma una qualsiasi. Il prototipo. Non potrebbe trovarsi, nella sua descrizione, in Ukraina, in Iraq, nel Vietnam? Come in una sineddoche perfetta questo libro ci racconta LA guerra, quella antica, fatta di insensata irrealtà e di infinita umanità, ma che spinge l’uomo ad azzannare il proprio simile costruendo ruoli e scopi fittizi che, di fondo, hanno nel mirino il futuro. La guerra, io credo, ha il domani come principale nemico di cui rallentare l’avanzata. Poi, ecco la fine, perché i conflitti terminano e, come scrive spudoratamente Berto, “dimenticammo il senso di vergogna” fino al momento in cui un nuovo incontro/scontro, nel sangue misto che corre nelle vene, diventerà coltivazione dello scempio successivo o ennesimo tentativo di fermare il tempo. Forse aveva ragione Che Guevara: «Per non lottare ci saranno sempre moltissimi pretesti in ogni circostanza, ma mai, in ogni circostanza e in ogni epoca, si potrà avere la libertà senza la lotta!”
di Marco Mottolese
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Aggiornato il: 22/03/2022 10:08:41